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Studio SIPPET: la posizione di AICE

Studio SIPPET: la posizione di AICE

A seguito della pubblicazione dello studio SIPPET, FedEmo ha chiesto e condiviso la posizione dell’Associazione Italiana Centri Emofilia (AICE).

Il testo di seguito è tratto dal sito Aiceonline.org

A cura di Antonio Coppola e Emanuela Marchesini, a nome del Consiglio Direttivo AICE

Nel numero del 26 maggio u.s. del New England Journal Medicine è stato pubblicato lo studio SIPPET, i cui risultati erano stati anticipati dalla presentazione all’ASH del dicembre scorso, come già segnalato su queste pagine (Risultati ASH 2015) e al Convegno EAHAD di Malmö, suscitando grandi discussioni nella comunità scientifica.

Si tratta del primo trial randomizzato specificamente disegnato per verificare se lo sviluppo di allo-anticorpi inibitori in bambini con emofilia A grave mai precedentemente esposti a concentrati di fattore VIII (FVIII) sia correlato alla classe del concentrato utilizzato. Per dimostrare una riduzione dell’incidenza di inibitore con i prodotti plasmaderivati contenenti fattore Von Willebrand (VWF) rispetto ai concentrati di FVIII ricombinante (frequenze attese 12.5% e 25%, rispettivamente) con un adeguato potere dello studio, dovevano essere valutati almeno 270 pazienti. Con uno Steering Committee internazionale, coordinato dal Prof. Mannucci e dalla Prof.ssa Peyvandi, grazie al contributo di 42 Centri in 14 nazioni in Europa, America, Asia e Africa (circa il 75% in India, Egitto e Iran) sono stati arruolati e randomizzati alle due classi di concentrati 264 bambini (età inferiore a 6 anni) con emofilia A grave mai precedentemente esposti a FVIII (PUPs) o, come riportato in oltre il 40% dei casi, minimamente esposti (<5 volte) a componenti del sangue (emazie concentrate, piastrine, plasma fresco congelato, crioprecipitato). In ogni nazione si è utilizzato un unico brand di concentrato plasmaderivato e di prodotto ricombinante commercializzati localmente, con una randomizzazione a blocchi di 2 pazienti per centro, lasciando al medico le scelte relative alle modalità di trattamento, sia in termini di regime (profilassi o on demand) che di dosaggi di FVIII. Lo studio, che si proponeva di seguire i pazienti fino a 50 giorni di esposizione (ED) o per 3 anni dall’arruolamento o fino alla comparsa di inibitore (end-point primario, definito da due determinazioni con titolo maggiore o uguale a 0.4 UB/ml, confermato presso il laboratorio del Centro di Milano), è stato interrotto nel maggio 2015 a seguito dell’indicazione della World Federation of Hemophilia di considerare di non utilizzare nei PUPs il FVIII ricombinante a molecola intera di seconda generazione a causa dell’incremento del rischio di inibitore segnalato dallo studio RODIN e dai Registri inglese e francese. Al termine dello studio, l’86% dei pazienti ha completato il trial secondo protocollo, ma poco più del 50% dei pazienti che non ha sviluppato inibitore ha raggiunto 50 ED.

Sono stati analizzati i dati di 251 dei 264 pazienti arruolati, 125 trattati con plasmaderivati (nell’83% il rapporto VWF/FVIII del prodotto utilizzato era circa 0.5, nei restanti circa 1) e 126 con ricombinanti (36% con prodotto di I generazione, 48% con quello di II generazione, i restanti con prodotti di III generazione). E’ stato riportato lo sviluppo di inibitore in 76 bambini (50 ad alto titolo), dopo 2-38 ED, pari ad un’incidenza cumulativa del 35.4% per gli inibitori totali e 23.3% per quelli ad alto titolo. In relazione alla classe di concentrati, hanno sviluppato inibitore 29/125 bambini trattati con plasmaderivati (20 ad alto titolo) e 47/126 trattati con i ricombinanti (30 ad alto titolo). L’incidenza cumulativa di inibitori totali è risultata del 26.8% per i plasmaderivati e 44.5% per i ricombinanti. Ne deriva con un incremento dell’incidenza di circa 1.8 volte per questi ultimi prodotti che risulta statisticamente significativo (hazard ratio [HR] 1.87, intervallo di confidenza [CI] al 95%, 1.17-2.96). Per gli inibitori ad alto titolo, l’incremento di incidenza rilevato non raggiunge la significatività statistica (HR 1.69, 95% CI 0.96-2.98). I risultati restano sostanzialmente confermati anche nelle analisi multivariate che hanno incluso fattori confondenti quali tipo di mutazione genetica, storia familiare, età al primo trattamento, precedente esposizione a componenti del sangue e paese). Il dato non è inoltre influenzato dal tipo di prodotto ricombinante utilizzato, come dimostrato dagli autori escludendo dall’analisi tutti i pazienti trattati nei paesi in cui era utilizzato il FVIII ricombinante a molecola intera di seconda generazione. Nella valutazione degli altri fattori potenzialmente correlati allo sviluppo di inibitore, solo le mutazioni null sono risultate associate ad un incremento del rischio (peraltro non statisticamente significativo: HR 1.81, 95% CI 0.83-3.95), mentre non si sono evidenziate correlazioni con la storia familiare, etnia e precedente esposizione a componenti del sangue.

I dati di questo importante studio supportano dunque la minore incidenza di inibitori nei PUPs trattati con plasmaderivati contenenti VWF rispetto a quelli che ricevono prodotti ricombinanti. Non si può non riflettere sull’elevata incidenza di inibitori segnalata in questo studio, come fa notare anche l’editoriale di Donna DiMichele. La scelta del prodotto per ogni singolo paziente resta pertanto legata alla valutazione di tutti i fattori potenzialmente coinvolti nella complessa (e per molti versi ancora poco conosciuta) genesi dell’inibitore, e deve essere quindi frutto di una decisione condivisa con i genitori dei piccoli pazienti. Come sottolineano i Principi di terapia dell’AICE, il medico deve fornire loro le informazioni provenienti da questo studio, insieme agli altri dati disponibili in letteratura relativi allo sviluppo di inibitore e ai vari aspetti della sicurezza di tutti i prodotti per il trattamento sostitutivo, in modo che possa essere espresso un consenso pienamente consapevole. Si ribadisce che i risultati dello studio SIPPET riguardano esclusivamente i PUPs e che pertanto tali risultati non possono fornire alcuna indicazione per la gestione dei pazienti già trattati.

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