INFORMAZIONI CLINICHE
Tradizionalmente per i pazienti cosiddetti “low responder”, ovvero coloro il cui sistema immunitario produce l’anticorpo inibitore in maniera meno efficace e tempestiva, il trattamento prevede “semplicemente” la somministrazione di dosi maggiori di fattore della coagulazione rispetto alla terapia convenzionale.
Per i pazienti “high responder”, invece, negli anni si è ricorsi all’utilizzo dei cosiddetti “agenti bypassanti” come il fattore VII attivato ricombinante o il complesso protrombinico concentrato attivato, molecole molto complesse in grado di aggirare parzialmente l’ostacolo posto dagli alti livelli di inibitore nella cascata coagulativa.
Il trattamento del paziente emofilico con inibitore rappresenta un fronte di studio costantemente aperto e ha recentemente subito una svolta epocale: da poco più di un anno, infatti, per i pazienti con emofilia A ed inibitore è stato introdotto in Italia l’utilizzo di emicizumab. Si tratta di un anticorpo monoclonale a somministrazione sottocutanea in grado di mimare l’azione del fattore VIII, e di permettere dunque anche ai pazienti con inibitore di svolgere uno schema di profilassi antiemorragica. I risultati preliminari del suo impiego appaiono assai incoraggianti, sebbene in caso di di traumi o interventi chirurgici importanti si debbano necessariamente associarvi gli agenti bypassanti.
In parallelo a tutto ciò, l’approccio di prima linea al paziente emofilico con alti livelli di inibitore continua a prevedere la possibilità di sfruttare la cosiddetta immunotolleranza (ITI), unica strategia terapeutica in grado, in una buona percentuale di casi soprattutto di emofilia A (85%), di eradicare l’attività antagonista degli inibitori spegnendone la produzione.
Essa si basa sulla somministrazione regolare di concentrato di fattore della coagulazione (in base ad uno specifico schema posologico messo a punto dallo specialista) durante un determinato periodo di tempo, al fine di “allenare” l’organismo a riconoscere il prodotto somministrato dall’esterno e a non reagire più contro di esso. Sebbene alcuni elementi siano stati associati con un migliore funzionamento dell’immunotolleranza, non è ancora chiaro il perché essa dia risultati migliori in alcuni soggetti piuttosto che in altri; per questo, infatti, il tasso di successo di questo tipo di trattamento si situa in un range abbastanza ampio (tra il 60 ed il 90% dei casi considerati). La maggior parte dei soggetti che si sottopongono ad ITI vanno incontro a significativi miglioramenti entro i 12 mesi dall’inizio del trattamento, sebbene per i casi più difficili esso possa durare anche oltre i due anni.
Fonti
https://fedemo.it/wp-content/uploads/2019/06/Raccomadazioni-trattamento-emofilio.pdf