Il paziente emofilico che sviluppa inibitori rappresenta una vera e propria sfida, sia per la sua difficoltà di gestione, sia per l’aumento del rischio di emorragie incontrollate. I limiti rappresentano un indicatore molto importante per comprendere la qualità e il tenore di vita delle persone che vivono questa condizione.
Nei pazienti più giovani spesso si deve rinunciare al gioco, alle gite, a praticare sport, evitare insomma tutto ciò che può essere pericoloso o che possa provocare traumi o ferite. A causa degli emartri e del dolore si possono perdere numerosi giorni di scuola. Tutto questo ha delle ricadute su tutto il nucleo familiare, sottoposto sin dalla diagnosi di presenza di inibitore a uno stress, preoccupazioni e paura aggiuntivi.
Nelle persone oggi adulte che hanno o hanno avuto l’inibitore la condizione può essere ancor più complessa: articolazioni compromesse, a causa dei numerosi emartri, e la possibilità di aver subito uno o più interventi chirurgici di artroscopia o protesi, rendono gli sforzi fisici difficili da sopportare con rischio di avere dolore diffuso.
Nella letteratura scientifica più recente esistono diversi studi che si sono posti lo scopo di esplorare la qualità di vita dei pazienti emofilici con inibitore e dei loro caregivers tramite l’utilizzo di appositi questionari e scale di riferimento. Di seguito sono riassunte le conclusioni di alcuni di essi, al fine di estrapolare i concetti principali e costruire una panoramica della vita del paziente emofilico con inibitore quanto più oggettiva e supportata da evidenze scientifiche.
- Il primo studio [1] citato tra le fonti (2009) pone l’attenzione su due aspetti molto importanti: in primis sull’esistenza nel paziente emofilico con inibitore di una correlazione negativa tra il trattamento on-demand e gli indicatori della qualità della vita, a prescindere dall’età del paziente considerato.
Il secondo elemento da sottolineare è invece una conferma dell’associazione positiva tra immunotolleranza e miglioramento dei parametri “fisici” della qualità della vita. Viene affermato qui, come in tutti gli altri studi considerati, che una riduzione della severità della malattia, o del numero di fenomeni emorragici, possa migliorare il benessere fisico del paziente e, di conseguenza, la sua produttività. - Il secondo studio [2] svolge un’analisi dei dati forniti dal protocollo DOSE (Dosing Observational study in Hemophilia) e risale al 2012. Esso si basa sulla compilazione da parte dei pazienti emofilici con inibitore di diari clinici circa la frequenza di sviluppo dei sanguinamenti, i trattamenti a cui si sottoponevano e l’impatto sui parametri concernenti la loro qualità di vita. In particolare, per quanto riguarda questi ultimi, gli score hanno evidenziato risultati maggiormente negativi in termini di impairment nei giorni in cui effettivamente si presentava un sanguinamento piuttosto che in quelli che intercorrevano tra un episodio e l’altro, con un conseguente incremento dello stato di ansia e stress della famiglia.I pazienti più giovani dello studio, in particolare, dichiaravano di vivere uno stato di salute pressoché “normale” nei giorni che intercorrevano tra un sanguinamento e l’altro, mentre soffrivano particolarmente, assieme al resto della famiglia, durante gli episodi acuti di emorragia.
Per i pazienti adulti, invece, accade qualcosa di diverso: la loro storia di persistenti sanguinamenti articolari è causa dell’instaurarsi di un circolo vizioso i cui elementi sono costituiti da episodi di emorragia, sinovite acuta, fenomeni di neovascolarizzazione e conseguenti nuovi episodi di sanguinamento. Il risultato clinico di questo circolo vizioso è lo svilupparsi di uno stato cronico di artropatia, che possiede un impatto non trascurabile sulla qualità di vita del paziente. Per questo, in questa classe di pazienti, distinguere il peso esercitato sulla qualità di vita dal singolo episodio di sanguinamento rispetto a quello imputabile allo stato di artropatia cronica è più difficile.
DOSE è risultato essere anche il primo studio che ha analizzato l’impatto della presenza di inibitore sull’ambito scolastico e lavorativo della vita di un paziente. Sono stati analizzati, infatti, non semplicemente i cosiddetti “giorni persi” a causa di emorragia bensì gli effettivi giorni in cui un sanguinamento avesse pregiudicato un’effettiva attività scolastica o lavorativa. Sorprendentemente è emerso come, nel campione analizzato, circa la metà dei giorni di sanguinamento non coincidessero con giorni di lavoro/scuola. Tuttavia, dal momento che la compilazione di questi diari si è svolta durante l’arco di un anno, si può affermare che per il paziente adulto con inibitore la disabilità (intesa come qualsiasi limitazione o perdita, conseguente a una menomazione, della capacità di compiere un’attività nel modo o nell’ampiezza considerati normali per un essere umano.) rappresenti comunque un problema abbastanza comune.
- Al 2013 risale invece un altro studio, nel quale si afferma nuovamente che l’impatto sui diversi indicatori dello stile di vita varia in maniera consistente a seconda dell’età dei soggetti del gruppo considerato. La ricaduta della presenza di inibitore, all’interno della popolazione pediatrica, riguarda soprattutto i domini “famiglia”, “amici” e “trattamento”, e ciò riflette la difficoltà tipica di questo periodo nella gestione familiare della patologia. Durante l’adolescenza, invece, il campione di studio restituisce un maggior impatto sulle categorie “salute fisica”, “sport” e “scuola”. Mentre nell’adulto il peso maggiore viene registrato nelle categorie “sport e tempo libero”, “salute fisica” e “futuro”.Tra le conclusioni di questo lavoro, inoltre, viene evidenziato il ruolo dei caregivers nella gestione della patologia, specificando due elementi importanti: da un lato come la figura del caregiver sia fondamentale nella creazione della consapevolezza necessaria a far si che il paziente cooperi per il suo benessere e dall’altro sottolineando la necessità che tali figure vengano maggiormente prese in considerazione, in primis da parte dei clinici, nell’individualizzazione e nel management della terapia del loro paziente.
È proprio alla percezione dei caregivers che si riferisce questo grafico, dal quale emerge come, tra le diverse categorie di risposta proposte, l’impatto maggiore nella gestione di un bambino con emofilia ed inibitore si registri sulla sfera emozionale.
- Infine, anche lo studio più recente [4] (2019), ha indagato sempre mediante la somministrazione di questionari appositi quali aspetti della vita quotidiana vengano maggiormente influenzati dalla presenza di inibitore nel paziente emofilico.
Dallo studio si può evidenziare come, tra le diverse categorie presenti nel questionario (salute fisica, emozioni, percezione di se stessi, sport e tempo libero, scuola e lavoro, rapporto con la malattia, trattamento, futuro, vita familiare, rapporto di coppia e sessualità), il paziente adulto con inibitore riporti il maggior grado di impatto nell’esecuzione di sport e attività del tempo libero.
Anche nel paziente adolescente la categoria maggiormente influenzata dalla presenza di inibitore è risultata essere quella denominato come “scuola e sport”.
FONTI
- Health‐related quality of life and productivity impact in haemophilia patients with inhibitors. Haemophilia. 2009 Jul;15(4):911-7
- Effect of Acute Bleeding on Daily Quality of Life Assessments in Patients with Congenital Hemophilia with Inhibitors and Their Families: Observations from the Dosing Observational Study in Hemophilia. HEALTH, 2012; 15:916 –925
- Health-related quality of life in haemophilia patients with inhibitors and their caregivers. Haemophilia (2013), 19, 287–293
- Health‐related quality of life and health status in persons with haemophilia A with inhibitors: A prospective, multicentre, non‐interventional study (NIS). Haemophilia, 2019; 25:382–391
- Weemo presenta Focus 7 – Gli inibitori: video
- Ida e Davide Sorrentino sull’Inibitore in emofilia
- L’inibitore in emofilia: un report di Enrico Mazza
- La gestione del paziente pediatrico con inibitore. Paola Giordano