Ricerca italiana è tra le migliori al mondo. Al Policlinico di Milano una nuova sperimentazione
Pier Mannuccio Mannucci, Direttore scientifico della Fondazione Ca’ Granda Policlinico di Milano
L’emofilia è una malattia che non è ancora stata sconfitta. I farmaci e le biotecnologie hanno però migliorato la qualità di vita dei pazienti in modo sensibile, tanto che oggi hanno un’aspettativa di vita normale. Se nel 1960 l’aspettativa di vita degli emofilici non superava i 30 anni, ad oggi le cose sono radicalmente cambiate, e in meglio. Lo dimostrano gli ultimi 30 anni di ricerca, soprattutto quella italiana, oggi ai vertici mondiali; e le scoperte più recenti, come i fattori ‘a lunga durata’ e la terapia genica ne cambieranno anche il futuro.
Nel 1977 uno studio italiano individuò un nuovo farmaco, la desmopressina, una molecola sintetica in grado di stimolare la produzione del fattore VIII. Questo permise non solo di ridurre l’uso dei plasma derivati ma anche di contenere rischi di infezioni e costi sanitari. Inoltre, utilizzata negli anni dell’esordio dell’AIDS, ha permesso di ridurre sostanzialmente l’incidenza in Italia dell’HIV rispetto agli Stati Uniti.
La ricerca italiana sull’emofilia è tra le migliori al mondo: tra i maggiori esperti per quantità e qualità della produzione scientifica possiamo vantare quattro scienziati del nostro Paese (Franchini, Lippi, Mannucci, Santagostino), e due di loro lavorano al Policlinico di Milano. Questo nonostante in Italia si spendano solo 17 miliardi per la ricerca contro, ad esempio, i 71 della Germania. Più in generale, nel 2012 l’Italia ha prodotto il 3,8% delle pubblicazioni scientifiche mondiali e ha generato il 6% delle citazioni, con una produzione 6 volte superiore alla media mondiale. In questi anni i successi della scienza nel campo dell’emofilia sono stati diversi. Negli anni ’80 e ’90 sono stati clonati i geni del fattore VIII e del fattore IX della coagulazione, arrivando poi a produrne una versione ricombinante grazie alle biotecnologie: in questo modo è stato possibile eliminare le infezioni e migliorare la qualità di vita dei pazienti. Gli emofilici, però, devono sottoporsi a numerose iniezioni periodiche per fare fronte alla propria carenza di fattori della coagulazione, arrivando anche a 120 somministrazioni l’anno. Il futuro della terapia, quindi, è proprio quello che agisce su questo fronte. Nel 2012 è stato dimostrato che un nuovo prodotto, il fattore IX ‘a lunga durata’, è in grado di ridurre le iniezioni necessarie a 30 l’anno. Nuove speranze arrivano inoltre dalla terapia genica, che usa dei virus resi inoffensivi per iniettare nelle cellule dei geni ‘corretti’, e ripristinare quindi la produzione dei fattori di coagulazione nei pazienti che ne sono privi. Al momento le sperimentazioni sono state condotte con successo sui topi e sui cani, e in Inghilterra si è svolta una prima sperimentazione su 10 persone che ha permesso di sospendere la profilassi con il fattore di coagulazione. Anche in Italia sta per iniziare una sperimentazione, tra Policlinico di Milano e Ospedale San Raffaele, che utilizzerà un approccio di terapia genica.
Negli ultimi 30 anni la ricerca sull’emofilia ha compiuto progressi enormi, e non c’è dubbio che al momento, tra le più frequenti malattie nelle quali è implicato un solo gene (1), abbia a disposizione le cure più efficaci e sicure. Ma per mantenere alto il livello delle cure sono fondamentali due cose: la collaborazione internazionale tra i ricercatori ed il tenere alto l’interesse e le competenze in questo settore. I ricercatori italiani hanno tutte le carte in regola perché si arrivi un giorno a battere questa malattia una volta per tutte.
(1) Tra queste, anche la fibrosi cistica, la talassemia e la distrofia muscolare
La ricerca sull’emofilia: la prospettiva di un giovane ricercatore
Giuseppe Mazza, Ricercatore PhD presso Institute for Liver and Digestive Health University College, London
Il trattamento dell’emofilia ha visto radicali miglioramenti negli ultimi anni. Il tutto non è limitato allo sviluppo di farmaci “long-acting” che andrebbero a ridurre le infusioni del fattore carente ma le recenti innovazioni nella ricerca fanno sperare nella possibilità di terapie “definitive” per la cura dell’emofilia.
In particolare, il recente lavoro pubblicato dal Professor Nathwani nel 2011 sul New England Journal of Medicine, ha confermato la possibilità e la sicurezza di trattare pazienti affetti da Emofilia B con un vettore virale modificato. La caratteristica di questo vettore è la mancata capacita di replicarsi dopo l’integrazione nel genoma umano. Questo va ad eliminare la possibilità di una trasformazione neoplastica, come si era visto in passato con l’utilizzo dei retrovirus. L’innovazione in medicina ha portato ad un aumento della conoscenza sulla capacità di manipolare cellule in vitro, espanderle ed utilizzarle per future terapie cellulari. I vantaggi delle terapie cellulari sono molteplici, in quanto la correzione della mutazione può essere valutata in vitro e non si userebbero virus da iniettare nei pazienti. Quindi, anche il rischio di risposta immunitaria nei confronti del vettore virale svanisce.
Infine, tecniche di ingegneria genetica hanno portato allo sviluppo di enzimi (ZFN, TALENs) in grado di riconoscere sequenze target nel genoma ospite (sequenza mutata del FVIII). Dopo il riconoscimento sequenza-specifico si attiveranno dei meccanismi (fisiologicamente presenti nelle cellule umane) che porteranno alla sostituzione della sequenza mutata con la nuova sequenza “sana” che viene aggiunta nel sistema enzimatico. Recentemente sono stati pubblicati diversi lavori che hanno dimostrato la possibilità di utilizzare questa metodica nei modelli animali.