20-22.01.2016 – Global Haemophilia Advocacy Summit
Nella bellissima cornice della città di Lisbona, si è svolto un incontro a livello mondiale per discutere di advocacy nel campo dell’emofilia. Hanno partecipato 45 advocates provenienti da 21 Paesi diversi, dal Brasile al Giappone.
Prima di partire mi sono informato su cosa volesse dire il termine “Advocacy”, dato che in italiano non c’è una traduzione letterale e mi ha sorpreso sapere che si intende un insieme di azioni che volgono a sostenere attivamente la causa di qualcun altro, in campo giudiziario, politico, del marketing, della salute e così via.
Gli advocates sono coloro che non si vedono, ma il cui lavoro è fondamentale andando a coadiuvare due tipi di prospettive diverse:
- quella critica, di denuncia delle ingiustizie
- quella costruttiva per fare da ponte tra le parti in causa (case farmaceutiche, Stati e pazienti), proponendo soluzioni adatte a tutti.
Quello di Lisbona è stato il quarto Summit di questo tipo ed il tema sul quale si è cercato di porre l’attenzione è stato il vantaggio di una terapia di profilassi secondaria per tutti quei pazienti affetti da Emofilia di entità moderata o grave.
La mia personale opinione su questo argomento, vivendo in Italia e non conoscendo bene come andassero le cose nelle altre parti del mondo, era un pochino diversa prima di questo incontro; in Italia l’accessibilità alla suddetta terapia è permessa a tutti, indiscriminatamente dalla gravità della patologia. Fuori dall’Italia però non è tutto così semplice, esistono delle realtà, USA in primis e paesi dell’Est Europa, dove la suddetta terapia non è permessa in nessun caso o soltanto fino al raggiungimento di una determinata età; questo non è per niente un fattore positivo, né in termini di qualità di vita del paziente, né per quanto riguarda il costo futuro dello stesso paziente per il Sistema Sanitario Nazionale. Non è un vantaggio perché un paziente con terapia on demand va incontro a più eventi traumatici annuali e di conseguenza ad un costo più elevato di quello che avrebbe avuto con una terapia di profilassi secondaria.
Si potrebbe ragionare sul perché allora ciò avvenga, ma parlando di realtà sociali ed economiche completamente diverse, come ad esempio quella Americana e quella di paesi dell’Europa dell’Est, bisognerebbe analizzarle nel dettaglio ed andare a studiare bene la realtà socio economica che si ha di fronte. Detta in termini molto semplicistici, possiamo comunque affermare come in realtà le motivazioni siano ben differenti tra i due esempi sopra riportati: nel primo caso, quello della realtà Americana, sappiano tutti bene come la sanità sia in realtà controllata della assicurazioni sanitarie, che forse, e mi soffermo sull’ipotesi, avranno un vantaggio a spingere verso una negazione della terapia di profilassi secondaria; per quanto riguarda invece realtà come quelle dell’Europa dell’Est lì le cose sono ben diverse: giusto o sbagliato che sia lo si fa più semplicemente per una cultura del “risparmio oggi” per avere un vantaggio nell’immediato futuro e non del “investo oggi” per avere un guadagno maggiore nel lungo periodo, è un po’ come l’eterno dilemma tra “meglio un uovo oggi o una gallina domani?”, domanda alla quale noi stessi oggi, molto probabilmente, non sapremmo rispondere .
Proprio durante il meeting sono perciò stati presentati diversi dati ed evidenze che hanno messo in luce i vantaggi di una terapia di profilassi secondaria estesa a tutti i pazienti che ne abbiamo effettivamente la necessità e come questo incidesse effettivamente in modo positivo sia sulla vita quotidiana del paziente stesso sia sul bilancio quinquennale di un Sistema Sanitario Nazionale.
Per concludere vorrei porre l’attenzione su un aspetto che nel corso del meeting è stato toccato solo di sfuggita, ovvero il costo del singolo farmaco per il Sistema Sanitario Nazionale:
- perché in Italia il costo è più alto rispetto ad altre nazioni europee come l’Inghilterra o la Francia, con conseguente aumento di spese da parte del Sistema Sanitario?
- Perché non si cerca, almeno per quanto riguarda le nazioni facenti parte della comunità Europea, di imporre un costo unico del singolo farmaco?
Voglio concludere questo articolo con un mio sogno, o meglio un’utopia: dato che ci definiamo come cittadini Europei facenti parte di una Comunità Europea, perché non si cerca di lavorare sull’istituzione di un sistema sanitario Europeo e non più Nazionale. Tutto questo non inciderebbe meglio sui vari bilanci… ai posteri, forse, l’eventuale sentenza.
Enrico Mazza, Guido Piroli