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Fragili, ma forti – Il valore delle parole – Report del terzo appuntamento

Fragili, ma forti – Il valore delle parole – Report del terzo appuntamento

FRAGILI, MA FORTI
Valore delle parole

22 ottobre 22, terzo incontro

Nel mio lavoro incontro spesso persone condizionate negativamente dalle parole pronunciate da un genitore, da un insegnante, da un amico, il peso di quei giudizi, anche dopo molto tempo, continua a incidere sulla visione e sulla stima di sé stessi.

Anche noi nei nostri incontri pronunciamo e riceviamo parole, e vorremmo che fossero vive, preziose e leggere come piume, per donare carezze e permetterci di respirare profondamente nella fiducia.

È necessario maneggiare con cura le parole che usiamo, il gruppo si è soffermato proprio su questo sostantivo “cura”. Cura ha la stessa radice di cuore, anche la medicina si prende cura, il suo obbiettivo è trovare farmaci, rimedi per la guarigione o per convivere in maniera soddisfacente con la patologia, quindi è concentrata sui malesseri fisici e usa parole che non entrano in contatto profondo con la realtà emotiva e affettiva del paziente. Ci vorrebbero delle linee guida per indicare, sottolineare l’attenzione alle parole da usare quando si comunica una diagnosi di cronicità come l’emofilia o una diagnosi di malattia acuta o rara.

Prevedere il modo, scegliere le parole migliori per dirlo, è un argomento molto sentito dalle donne che hanno partecipato all’incontro:” Nel limite del possibile, vorremmo che venissero trovate le parole morbide, armoniose per illustrare una diagnosi e prospettare una terapia. Oltre alle parole, molto dipende da come vengono pronunciate, dall’intonazione della voce, dal linguaggio del corpo e dall’intensità dello sguardo, che può davvero rassicurare, aiutare a contenere la preoccupazione, l’ansia, l’inquietudine.

La dottoressa Giada Lonati, (che si occupa di cure palliative), nel suo libro “Prendersi Cura. afferma:

“Rassicurare vuol dire tranquillizzare, togliere il pensiero ossessivo del male, estirpare quella preoccupazione. Senza ingannare, trovare il modo di presentare la realtà magari addolcendola quel tanto che basta per presentarla nel modo migliore, senza distorcerla. Perché altrimenti non si avrebbe cura dell’altro, non lo si metterebbe in condizione di guardare avanti con la coscienza della realtà in cui è immerso” pag. 6

Abbiamo ascoltato con attenzione, parlato apertamente di quanto è difficile quando all’emofilia si aggiungono altre patologie, della solitudine, dell’incomprensione dell’esclusione sociale che spesso gli insegnanti, spaventati, svolgono nei confronti di bambini già gravati da una patologia emofilica spesso imprevedibile e mutevole.

Abbiamo constatato come i trattamenti sanitari si differenziano nelle varie regioni dove, nemmeno l’intervento delle associazioni riesce a modificare consuetudini lente e burocratizzate.

Abbiamo trovato parole per esprimere l’intensità dell’incontro; parole che come la poesia possono farci uscire dalla quotidianità, non per una fuga dalla realtà, ma per darci coraggio, per esorcizzare il fardello delle preoccupazioni, per risvegliare qualcosa che non ricordavamo più di possedere; per riattivare un respiro di libertà, che troppo spesso lasciamo sotterrato sotto il peso delle tante incombenze che affollano le nostre giornate.

Le nostre parole

Haiku (una delle più semplici e sincere forme di poesia giapponese)

STAGIONALITÀ

FORZA VITALE, FUOCO

LA VITA A NOI!

(…..) Ho bisogno di parole che mi cercano, cercano la mia oscurità, non la mia chiarezza e si accovaccino con me, con me respirino affannate nell’oscurità. Parole che sappiano aspettare. Parole che mi diano uno spintone verso quello che ancora non oso sapere. Parole compagne del silenzio. Una ogni tanto. Poi tre passi. Ancora una. E sei passi. Parole che vedano i tuoi occhi e i tuoi capelli, come cadono per un nonnulla e come gli occhi si arrossino scrutando il buio. Parole che conoscano gli sforzi. Per non dire. Per dire tutto. Per dire senza far male. Per velare. Per dire quello che tu taci. Per dire quello che sottintendi. Parole che accarezzino quello che taci per viltà e per paura e non lo condannino a decifrarsi ma bisbiglino solo: “Ci sei. Io ti sento. ”Ho bisogno di parole che mi ascoltino. Ora è tempo per me di salutare le parole.

SALUTARE LE PAROLE Chandra Livia Candiani  da DOPPIOZERO,  20 dicembre 2020

 

Composizioni in libertà

 

POTENZIALITÀ,

TU, IO, NOI, I COLORI

E LA NOSTRA LIBERTÀ

 

Nello scorrere delle stagioni

c’è un suono della voce che si rinnova,

chiede parole di testimonianza.

 

L’aria è respiro,

il fuoco calore,

la forza vitale vuole voce.

 

L’intimità crea confidenza,

la consapevolezza

trova parole per accettare.

 

La condivisione è racconto,

il suono della voce

cerca ben-essere.

 

Il ritmo del tempo

è capace di parlare

al cuore

Mary Oliver

Non devi essere buono.
Non devi camminare sulle ginocchia
per cento miglia nel deserto, pentendoti.
Devi solo lasciare che il tenero animale del tuo corpo
ami ciò che ama.
Raccontami della disperazione, la tua, ed io ti racconterò la mia.
Nel frattempo il mondo va avanti.
Nel frattempo il sole e i limpidi sassolini di pioggia
si stanno muovendo attraverso il paesaggio,
sulle praterie e gli alberi alti,
le montagne e i fiumi.
Nel frattempo le oche selvatiche, in alto nell’aria limpida e blu,
stanno di nuovo facendo rotta verso casa.
Chiunque tu sia, non importa quanto solo,
il mondo si offre alla tua immaginazione,
ti chiama come le oche selvatiche, forte e appassionatamente
più e più volte annunciando il tuo posto
nella famiglia delle cose.

 

Amo il bianco tra le parole» – Chandra Livia Candiani

Amo il bianco tra le parole,
il loro margine ardente,
amo quando taci
e quando riprendi a parlare,
amo la parola che spunta
solitaria
sullo specchio buio del vocabolario,
e quando sborda, va alla deriva
con deciso smarrimento,
quando si oscura
e quando si spezza,
si fa ombra.
Quando veste il mondo,
quando lo rivela,
quando fa mappa,
quando fa destino.
Amo quando è imminente
e quando si schianta,
quando è straniera,

quando straniera sono io
nella sua ipotetica terra,
amo quello che resta,
dopo la parola detta,
non detta. E quando è proibita
e pronunciata lo stesso,
quando si cerca e si vela,
quando si sposa
e quando è realtà di muri
limite che incaglia al suolo,
quando scorre candida
e corre per prima a bere,
e quando preme alla gola,
spinge all’aperto,
quando è presa a prestito,
quando mi impresta al discorso
dell’altro, quando mi abbandona.
Non voglio una parola di troppo,
voglio un silenzio a dirotto,

non un commercio tra mutezza e voce,
ma una breccia,
una spaccatura che allarga luce,
una pista delle scosse.
Dammi un ascolto che precipita –
parola.
Che nasce.

Chandra Livia Candiani

da “La bambina pugile ovvero la precisione dell’amore”, Torino, Einaudi, 2014

La vita nuova

La vita nuova
arriva taciturna
dentro la vecchia vita
arriva come una morte
uno schianto
qualcuno che spintona così forte
un crollo.
È una scrittura tanto precisa
e netta da non lasciare dubbi
né sfumature di senso eppure
non dà direzioni né mete.
La vita nuova irrompe
come un vecchio che cade
sul ghiaccio, un pensiero
davanti a un muro, la
sirena di un’ambulanza.
Non ci sono feriti
né annunci di sciagura
solo noi da convincere
a lasciar perdere il miraggio
di una via rettilinea, di un
orizzonte, lasciarsi curvare,
piegare alla tenerezza
delle anse del destino.
La vita nuova
è come un grande tuono
sbriciolato
poi a poco a poco
l’erba si china
sotto la pioggia
la prende
la beve.

Chandra Livia Candiani