0,000
Finestra rosa a Roma: un racconto a due voci

Finestra rosa a Roma: un racconto a due voci

7 novembre 2015. Una riflessione a due voci di Gianna Bellandi ed Elena Gaiani sull’ultimo incontro di questo anno a Roma: “è stato il gruppo più eterogeneo e numeroso sono presenti mogli, madri, nonne, suocere e sorelle”.

Le riflessioni di Gianna Bellandi

Roma ci ha accolte con il sole, la gentile e delicata ospitalità di Ombretta rende la giornata “morbida”e “fluida”. La sorpresa, bella e gioiosa, è stata la presenza di Ivana assente, più che giustificata,  negli altri incontri.

Ultimo incontro, per macroregioni, di questo anno: è stato il gruppo più eterogeneo e numeroso: sono presenti mogli, madri, nonne, suocere e sorelle.

Il fluire delle esperienze è effervescente, la particolarità della giornata è stata proprio la numerosa presenza di mogli o compagne di emofilici, non è frequente avere la loro partecipazione in questi incontri.

Tanti temi: interrogativi relativi alle dinamiche familiari, alla relazione di coppia, alla disattenzione per i figli sani e alla preoccupazione per le sorelle portatrici.

Si è creato un clima scoppiettante pieno di suggestioni e spunti di riflessione.

Quello che ho rilevato e che vi porgo come riflessione è lo strisciante sentimento del senso di colpa espresso da molte persone, non solo madri di emofilici.

Il senso di colpa s’insinua furtivamente, ogni volta che non rispondiamo come pensiamo che gli altri desiderino; ogni volta che ascoltiamo i nostri bisogni di libertà, di solitudine, silenzio, abbiamo la sensazione di deludere le persone che amiamo; questa costante attenzione alle esigenze degli altri è particolarmente presente nell’educazione delle bambine.

Generalmente le origini  del senso di colpa risalgono alla fase infantile, in seguito a un comportamento genitoriale ricattatorio, il cui obiettivo era quello di ottenere una risposta aderente alle proprie aspettative.

“Se non fai questo… io sto male…” “Questo tuo comportamento è inaccettabile, non ce la faccio più!” “Se non studi non ti parlo più”, “Dovresti vergognarti…”.

Questi ricatti agiscono sul piano affettivo e spesso diventano parte di noi al punto che possiamo ritrovarci a metterli in pratica, con noi stesse o con gli altri, quando meno ce lo aspettiamo: si tratta di modalità che pensavamo di avere rifiutato e superato, e il sorprenderci a attuarle, magari anche con le stesse parole, ci fa stare male.

Diventare consapevoli è il primo passo e sono state molte le condivisioni in questa direzione.

“Se mi prendo troppi spazi mi sento in colpa… sento che hanno bisogno di me”.

Numerose ricerche hanno dimostrato che sono le donne a provare maggiormente il senso di colpa, particolarmente nell’ambito delle relazioni interpersonali. Interessante è però il fatto che il senso di colpa è meno presente nelle donne più giovani nonostante il progetto educativo evolva lentamente e il femminile sia più sensibile alla responsabilità e alla colpa.

Ci tengo a sottolineare che imparare a prendersi cura di se stessi e capire i propri bisogni è un processo lento e faticoso che richiede intenzionalità e impegno.

Finestra Rosa ci offre sempre più la possibilità di ampliare i nostri panorami interiori e relazionali.

Il primo passo è cominciare a dare valore, un po’ alla volta alle piccole conquiste che vanno a costruire,una piattaforma di stabilità dove le ondate che inevitabilmente la vita presenta, bagnano ma non ci fanno affondare.

Gianna Bellandi

Le riflessioni di Elena Gaiani

Ciao a tutte care amiche in rosa. L’emofilia è entrata a far parte della mia vita e quella di mio marito 25 anni fa, la fine del periodo del sangue infetto. L’impatto con la diagnosi fu per noi una doccia gelata.

Le parole che il personale medico pronunciava erano sempre le stesse. Cercate di infondere il meno possibile il bambino, perché c’è ancora il rischio delle infezioni ematiche.

Per quanto riguarda le vacanze estive, non dovevamo allontanarci tanto dal Piemonte. In caso di traumi saremmo arrivati così nel minor tempo possibile.

La mia depressione post partum durò circa 12 mesi. Subentrarono poi i sensi di colpa. Mi dedicai anima e corpo al mio bambino, annullandomi completamente anche come donna. Fortunatamente iniziai a lavorare, ma anche qui la cosa non fu semplice.

L’emofilia, nessuno sapeva cosa fosse, benché lavorassi in sanità. Gli ematomi, gli emartri spontanei e le piccole emorragie per i miei colleghi e superiori sembravano sciocchezze. A quei tempi non si faceva uso della profilassi ma i pazienti venivano infusi on demand. Così ad ogni trauma mi dovevo recare presso l’ospedale pediatrico di riferimento. Nella sfortuna, ebbi la fortuna di incontrare una mamma che aveva il mio stesso problema; si aprì una piccola finestra. Entrai a fare parte del progetto PUER.

La metabolizzazione della malattia non fu cosa facile e con molta probabilità non L’ho accettata ancora a tutt’oggi. Mio figlio fu una mutazione genetica. Tra un emartro e l’altro cercavo di dare al mio piccolo il meglio, tralasciando un GRANDE PARTICOLARE: ME STESSA. Dopo la nascita della mia secondogenita, guardandomi allo specchio, una mattina, mi resi conto di essermi trascurata per ben otto anni.

La finestra si apri di un altro poco, ma non era rosa. A volte non basta l’aiuto del compagno o marito. Si ha bisogno di chi come te, donna, vive quotidianamente L’emofilia. Donne con cui ti puoi confidare senza che tu venga giudicata, con le quali puoi piangere, di un pianto liberatorio. Non abbiamo bisogno di compassione, ma di consigli spassionati. In questi 25 anni ne ho commessi di errori e sono certa di commetterne tantissimi altri.

Di una cosa però sono certa, che grazie a Finestra Rosa ho trovato quello che cercavo.

Dal Nord al Sud ho conosciuto DONNE fantastiche che mi hanno supportata e sopportata durante gli incontri. Finalmente la Finestra Rosa adesso si è aperta: GRAZIE a tutte voi.
Grazie a Ivana, Gianna, Renata che mi hanno dato la possibilità di fare parte del gruppo.
Concludendo posso dire:

Non dimentichiamo in primis di essere donne, poi mamme e poi mogli. Poi quando passeranno gli anni saremmo prima DONNE, poi mogli e poi mamme.
Non è che mettendoci gli occhiali scuri, o rosa,  la malattia scompare, ma forse la metabolizzamo meglio. Cerchiamo di trovare il giusto equilibrio.
Un po’ di sano egoismo ci vuole. Stiamo meglio noi e chi ci sta vicino.

Un infinito grazie a tutte voi,
Elena Gaiani